21.08.2018
La presenza di un grosso cespuglio di cappero in una nicchia protetta dal vento di un muro esposto a sud di Gandria riassume tutta la straordinarietà del luogo: un lembo di mediterraneo trasposto in una vallata alpina. Scopriamo il cappero e torniamo indietro fino alla preistoria.
Accompagna l'uomo sin dal paleolitico ed è simbolo della cucina mediterranea, uguagliato forse solo dall'oliva, il cappero comune, Capparis
spinosa L., evoca le rupi e le
murate delle zone più calde e secche dell’area costiera del meridione. La
presenza di un grosso cespuglio di cappero in una nicchia protetta dal vento di
un muro esposto a sud di Gandria (purtroppo inaccessibile al pubblico) riassume
tutta la straordinarietà del luogo: un lembo di mediterraneo trasposto in una
vallata alpina.
Descritto da Carlo Linneo nel
1753 nello Species Plantarum, il nome del genere Capparis era in uso già all’epoca romana per indicare la pianta.
La parola è presa in prestito dal greco kápparis, la cui origine, come d’altronde quella della specie, è
sconosciuta. Alcuni ipotizzano che sia legata a Kýpros, Cipro, isola dove cresce abbondantemente. L’epiteto
specifico spinosa si riferisce alle
spine che porta alla base delle foglie.
Membro alla
famiglia delle Capparaceae, il cappero comune ha un portamento cespitoso, con
fusti prostrati, legnosi e ramificati alla base, lunghi fino a 2 m. Le foglie alterne sono ovate, di consistenza
carnosa, e portano, alla base del picciolo, due stipole trasformate in spine. In
alcune varietà le spine sono erbacee, poco pungenti e caduche. I vistosi e
profumati fiori, solitari all’ascella delle foglie, misurano fino a 5 cm di
diametro e sono composti da un calice di quattro sepali, una corolla di quattro
grandi petali bianchi, numerosi lunghi stami purpurei verso l’apice e un
pistillo a forma di clava. I frutti, chiamati comunemente cucunci, assomigliano
a una sorta di bacca rigida e verde all’esterno, carnosa e rosacea all’interno
e chiamata tecnicamente anfisarco. Contengono numerosi semi nerastri,
dispersi dalle formiche e dalle lucertole. In gastronomia si usano sia i
cucunci che i capperi (boccioli florali non ancora schiusi), conservati sotto
sale o in salamoia. In condizioni favorevoli, la fioritura è assai prolungata, protraendosi da maggio a
settembre. La propagazione per seme è possibile
piantando semi freschi sommersi in acqua per qualche giorno, ma diventa molto
difficile non appena seccano. Alternativamente è possibile realizzare
delle talee con i rami verdi fatti radicare in serra.
Data l’origine
antica di Capparis spinosa - alcuni autori lo considerano un relitto
della flora tropicale dell’era geologica del terziario - la sistematica del
cappero è assai intricata e sono state riconosciute numerose sottospecie e
varietà nella sua area di distribuzione. La specie è oggi spontanea lungo le
coste dei paesi circummediterranei, in Africa orientale, Madagascar, Asia
centrale, Filippine, Indonesia, Papua Nuova Guinea, Australia e Oceania. Si
ipotizza che in Europa occidentale sia stata introdotta anticamente dall’essere
umano come coltura e fosse inseguito inselvatichita. Non si tratterebbe dunque
di una specie indigena bensì di un’archeofita, ovvero di una pianta oggi
spontanea ma diffusa dall’uomo in epoche remote.
Il cappero
comune cresce negli anfratti di rupi e muri a secco, predilige substrati
calcarei poveri e ben drenati, in vicinanza del mare fino a 1000 metri di
altitudine. Ama il sole e teme il gelo: a -5°C sopravvive solo per breve tempo. In Ticino cresce in pochissimi luoghi, oltre a
Gandria lo si può osservare nei muri di sostegno tra il battistero e la chiesa
di Santa Maria del Sasso a Morcote e in un muro della strada che da Ascona
porta al Monte Verità. Lo si trova anche sui muri del castello Sforzesco a
Milano.
Il cappero è una delle piante la cui relazione con
l’essere umano è fra le più antiche: ritrovamenti archeologici in un sito
paleolitico in Egitto ne suggeriscono il consumo da parte dell’uomo ben 17'000
anni fa. Usi alimentari e terapeutici preistorici sono documentati anche in
Siria e in Grecia, tra il nono e l’ottavo millennio avanti Cristo, nonché in Cina 2’900 anni fa. Parecchi autori greci e latini, tra cui Aristotele, Ippocrate, Teofrasto e
Plinio il Vecchio, ne riportano gli usi. La Bibbia narra del suo potenziale
afrodisiaco e, ancora oggi, in Marocco è usato a questo scopo. Vera panacea, al
cappero comune sono attribuite proprietà antiossidanti, antidiabetiche,
fungicide, vermifughe, anti istaminiche e anti allergeniche, anti
epatotossiche, espettoranti, broncorilassanti, diuretiche, depurative,
analgesiche, anti infiammatorie e tonificanti. In cosmetica, è usato come
abbronzante e come protezione contro il sole, contro la fragilità capillare e
per proteggere la pelle dall’invecchiamento precoce. Per la sua bellezza, il
cappero comune è anche usato come pianta ornamentale.
Testo e foto: Nicola Schoenenberger
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